da “La Peste a Milano – Alessandro Manzoni”

La peste che il Tribunale della Sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia. Condotti dal filo della nostra storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali qui quella calamità; nel milanese, s’intende anzi in Milano quasi esclusivamente: che della città quasi esclusivamente trattano le momerie del tempo, come un di presso accade sempre e per tutto, per buone e per cattive ragioni. E in questo racconto, il nostro fine […..] è di far conoscere insieme, per quanto si può in ristretto, e per quanto si può da noi, un tratto di storia patria più famoso che conosciuto.

Per tutta adunque la striscia di territorio percorsa dall’esercito, si era trovato qualche cadavere nelle case, qualcheduno sulla strada. Poco dopo, in quel paese, cominciarono ad ammalarsi, a morire, persone, famiglie, di mali violenti, strani, con segni sconosciuti alla più parte de’ viventi. Il protofisico [….] aveva veduta quella peste, [..] riferì, [..], nel Tribunale della Sanità, come, nella terra di Chiuso (l’ultima del territorio di Lecco e confinante con il bergamasco), era scoppiato indubitabilmente il contagio.

“Era in quel giorno morta di peste, tra gli altri, un’intera famiglia. Nell’ora del maggior concorso, in mezzo alle carrozze, i cadaveri di quella famiglia furono, d’ordine della Sanità, condotti al cimitero suddetto, sur un carro, ignudi, affinché la folla potesse vedere in essi il marchio manifesto della della pestilenza. Un grido di ribrezzo, di terrore, s’alzava per tutto dove passava il carro; un lungo mormorio regnava dove era passato; un altro mormorio lo percorreva.

La peste fu più creduta: ma del resto andava acquistandosi fede da sè, ogni giorno di più; e quella riunione medesima non dovè servir poco a propagarla…”

da “La Peste di Albert Camus”

Da questo momento si può dire che la peste ci riguardò tutti. Finora, nonostante la sorpresa e la preoccupazione suscitate da questi eventi straordinari, ognuno dei nostri concittadini aveva continuato come poteva a dedicarsi alle proprie occupazioni, al proprio posto. E così doveva senz’altro essere in seguito. Ma dopo che furono chiuse le porte, tutti si accorsero, compreso il narratore, di essere sulla stessa barca e di doversene fare una ragione. Così, per esempio, un sentimento privato quale la separazione da una persona amata divenne improvvisamente, sin dalle prime settimane, quello di un’intera popolazione e, insieme con la paura, il principale motivo di sofferenza di quel lungo periodo di esilio.”

“Benché un flagello sia infatti un accadimento frequente, tutti stentiamo a credere ai flagelli quando ci piombano addosso. Nel mondo ci sono state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure la peste e la guerra colgono sempre tutti alla sprovvista. Era stato colto alla sprovvista il dottor Rieux, come lo erano stati i nostri concittadini, e questo spiega le sue titubanze. E spiega anche perché fosse combattuto tra la preoccupazione e la fiducia.

Quando scoppia una guerra tutti dicono: “È una follia, non durerà.” E forse una guerra è davvero una follia, ma ciò non le impedisce di durare. La follia è ostinata, chiunque se ne accorgerebbe se non fossimo sempre presi da noi stessi. A questo riguardo, i nostri concittadini erano come tutti gli altri, erano presi da se stessi, in altre parole erano umanisti: non credevano ai flagelli. Dal momento che il flagello non è a misura dell’uomo, pensiamo che sia irreale, soltanto un brutto sogno che passerà. Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare, e in primo luogo gli umanisti che non hanno preso alcuna precauzione. I nostri concittadini non erano più colpevoli di altri, dimenticavano soltanto di essere umili e pensavano che tutto per loro fosse ancora possibile, il che presumeva che i flagelli fossero impossibili. Continuavano a fare affari, programmavano viaggi e avevano opinioni. Come avrebbero potuto pensare alla peste che sopprime il futuro, gli spostamenti e le discussioni? Si credevano liberi e nessuno sarà mai libero finché ci saranno dei flagelli.”

 

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So soltanto che bisogna fare quello che occorre per non essere più un appestato, e che questo soltanto ci può far sperare nella pace, o, al suo posto, in una buona morte. Questo può dar sollievo agli uomini e, se non salvarli, almeno fargli il minor male possibile e persino, talvolta, un po’ di bene.

“Ma che vuol dire la peste? E’ la vita, ecco tutto ” Albert Camus